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Decreto penale di condanna e diniego della cittadinanza

Pubblicato in: Immigrazione

La concessione della cittadinanza per naturalizzazione può essere negata in presenza di un decreto penale di condanna

La concessione della cittadinanza nei casi previsti dall'articolo 9 della Legge del 5 febbraio 1992, n. 91 è rimessa alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione, a differenza di quanto avviene per l'acquisto della cittadinanza per matrimonio (Consiglio di Stato, sentenza del 17 luglio 2000, n. 3958).

In altri termini, la concessione della cittadinanza per motivi diversi dal matrimonio non costituisce per il richiedente un diritto che il Paese ospite deve necessariamente ed automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, bensì rappresenta il frutto di un'attenta ponderazione dell'interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato Comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.

Tale valutazione è di natura squisitamente discrezionale.

In ragione di tale ampio potere discrezionale, il T.A.R. del Lazio ha ritenuto valido il giudizio negativo fondato sulla commissione di un reato che, sebbene di natura contravvenzionale, avrebbe causato - secondo l'Amministrazione - un rilevante allarme sociale.

In particolare è stato ritenuto corretto l'operato del Ministero dell'Interno per aver considerato la sussistenza del decreto penale di condanna per guida in stato di ebbrezza come indice della mancanza di un interesse pubblico al riconoscimento della cittadinanza.

Riguardo l'obbligo di motivazione del diniego della cittadinanza, afferma il T.A.R.: "perché possa riconoscersi sufficientemente motivato il provvedimento di rigetto di un'istanza volta al riconoscimento della cittadinanza italiana non è necessario che l'Amministrazione espliciti l'intera sequela di valutazioni interne - inerenti anche ad episodi in sé non particolarmente sintomatici, ma rilevanti nell'ottica di un apprezzamento globale - mediante la quale è pervenuta ad un giudizio complessivo di pericolosità che comunque, per sua propria natura e secondo lo stesso dettato legislativo, in quanto rispondente ad una finalità di tutela preventiva, rimane in gran parte basato su elementi privi di rilievo negli altri settori dell'ordinamento; pertanto, l'esigenza motivazionale può dirsi assolta ogni qualvolta l'Amministrazione abbia esplicitato sia il risultato dell'apprezzamento intermedio - di natura consuntiva - che il giudizio finale in modo tale da consentire, anche tramite i riferimenti normativi espressi, la ricostruzione delle ragioni del diniego e l'identificazione del potere concretamente esercitato nel caso specifico (cfr. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 7 dicembre 1994). Infatti, il decreto ministeriale di rigetto, nel richiamare il certificato del casellario penale, non ha fatto altro che porre in luce l'insufficiente dimostrazione dell'intento del ricorrente di sottomettersi all'ordinamento nazionale e di adeguarsi alle regole della comunità italiana" mancanza di un interesse pubblico al riconoscimento della cittadinanza" (T.A.R. del Lazio, sentenza del 1 febbraio 2008, n. 886).

Il T.A.R. inoltre ha ritenuto irrilevante il fatto che il reato considerato abbia natura di delitto o di mera contravvenzione in quanto esso non viene valutato sotto il profilo della condanna del suo autore, bensì sotto il diverso profilo dell'interesse pubblico del Paese ospite ad accogliere chi lo ha commesso tra i propri cittadini.

Questa valutazione implica anche l'opportunità di evitare di inserire tra questi chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela anche a livello penale, valori la cui trasgressione può ben essere considerata (anche) indicativa di un non adeguato livello di integrazione nella comunità nazionale.

Non sono stati considerati rilevanti i favorevoli elementi indicati dall'interessato, consistenti nell'asserito svolgimento di regolare attività lavorativa e nell'assenza di altre condanne penali.

Secondo il TAR, infatti, si tratterebbe più che di elementi di meritevolezza dell'interessato, di meri requisiti per la concessione in via ordinaria del beneficio in contestazione, che può essere concesso solo ove l'istante disponga di adeguati mezzi di sussistenza, che comunque non valgono ad escludere né a compensare la sussistenza del fattore ostativo sopraindicato.

Il possesso dei requisiti suddetti rappresenta - dice il T.A.R. - un presupposto necessario ma non sufficiente per la concessione della cittadinanza, il cui rilascio, come si è detto, è subordinato ad un ben più complesso giudizio sull'interesse della Comunità nazionale ad arricchirsi di un nuovo elemento.

Né il provvedimento appare manifestamente ingiusto, atteso che, nella ponderazione dei contrapposti interessi, l'interesse pubblico alla sicurezza ed incolumità pubblica deve prevalere rispetto a quello del soggetto privato ad ottenere la cittadinanza italiana.

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