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Adozione in casi particolari e impossibilità di affidamento preadottivo

Pubblicato in: Adozione e tutela minori

Cosa significa impossibilità di affidamento preadottivo: l'adozione ex art. 44 va ammessa a prescindere da una situazione di abbandono del minore

La Cassazione si è pronunciata sull'esatta delimitazione dell'ambito di applicazione dell'adozione in casi particolari disciplinata nell'articolo 44, comma 1, lettera d), della Legge n. 184/1983 (Cassazione, sentenza del 22 giugno 2016, n. 12962).

In particolare, si è soffermata sul significato da attribuire alla disposizione "constatata impossibilità di affidamento preadottivo", condizione questa in cui deve trovarsi il minore adottando, indispensabile per l'applicazione di tale fattispecie di adozione.

In primo luogo è necessario esaminare il testo dell'articolo 44 Legge adozioni e la sua evoluzione normativa alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione.

Evoluzione dell'art. 44

Il testo originario dell'articolo 44 Legge adozioni era il seguente:

"I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell'articolo 7: a) da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo [primo comma]. L'adozione, nel casi indicati nel precedente comma, è consentita anche in presenza di figli legittimi [secondo comma]. Nei casi di cui alle lettere a) e c) l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, il minore deve essere adottato da entrambi i coniugi [terzo comma]. In tutti i casi l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età di coloro che intende adottare [quarto comma]".

L'articolo 25 della Legge 28 marzo 2001, n. 149 ha sostituito l'intero articolo 44, inserendo, in particolare, una nuova ipotesi adottiva relativa al minore disabile, contrassegnata dalla lettera c).

Per effetto di questa interpolazione, l'adozione "quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo" risulta attualmente contrassegnata dalla lettera d).

Inoltre, le successive modifiche hanno riguardato la soppressione - ad opera dell'articolo 100, comma 1, lettera t), del Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 , nel comma 2 dello stesso articolo 44, dell'attributo «legittimi» dopo «figli», nonché l'inserimento - ad opera dell'articolo 4, coma 1, della legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva del bambini e delle bambine in affido familiare) -, nell'articolo 44, comma 1, lettera a), dopo le parole «stabile e duraturo», relative al rapporto del minore orfano di padre e di madre con parenti fino al sesto grado, delle parole «anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento».

Il testo vigente dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 risulta, pertanto, il seguente:

«l. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 del'articolo 7:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, coma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

2. L'adozione, nel casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli.

3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato.

Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma l l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare».

E' poi indispensabile tener presente che il tribunale per i minorenni, per ogni ipotesi di adozione non legittimante, oltre all'acquisizione dell'assenso del genitore dell'adottando (articolo 46, primo comma, deve svolgere l'indagine prevista dal successivo articolo 57, il quale dispone:

«Il tribunale verifica:

1) se ricorrono le circostanze di cui all'articolo 44;

2) se l'adozione realizza il preminente interesse del minore [primo comma].

A tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell'adottando, dispone l'esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull'adottante, sul 28 Corte di Cassazione - copia non ufficiale minore e sulla di lui famiglia [secondo comma]. L'indagine dovrà riguardare in particolare: a) l'idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l'adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell'adottante e del minore [terzo comma]».

La lettera a) del terzo comma è stata sostituita ad opera dell'articolo 29 della legge n. 149 del 2001, che ha esteso l'accertamento da svolgere anche alla «idoneità affettiva».

Il requisito della "impossibilità di affidamento preadottivo"

Alla luce di tale quadro normativo, l'interpretazione della condizione costituita dalla "constatata impossibilità di affidamento preadottivo", non può essere scissa né dall'esame complessivo dell'istituto dell'adozione in casi particolari né dalle modifiche normative medio tempore intervenute, al fine di verificare se la sua ratio originaria possa ritenersi tuttora intatta oppure sia mutata in conseguenza dell'evoluzione del quadro normativo.

La tesi restrittiva

Secondo tale tesi, l'inveramento della condizione richiede ineludibilmente la preesistenza di una situazione di abbandono (o di semi abbandono) del minore.

Al riguardo, possono individuarsi tre ragioni giustificative di questa lettura della norma:

1) la valorizzazione dell'intentio legis: l'originaria lettera c), ora lettera d), del coma l dell'articolo 44, anche secondo alcuni orientamenti dottrinali espressi nella fase di prima applicazione della norma, doveva essere rivolta a scongiurare l'affidamento a terzi di minori da parte dei genitori mediante l'aggiramento del rigoroso regime dell'adozione legittimante; tale ratio originaria ha, di conseguenza, permeato l'istituto, limitandone anche attualmente l'applicazione a minori in condizioni di prolungata istituzionalizzazione, alla quale non sia seguito, e verosimilmente non possa seguire, l'affidamento preadottivo;

2) l'utilizzazione del sintagma «constatata impossibilità» richiama una situazione di fatto preesistente;

3) la contraria interpretazione "estensiva" condurrebbe a dichiarare l'adozione in casi particolari tutte le volte che ciò corrisponda all'interesse del minore adottando, con conseguente aggiramento della condizione limitativa imposta dalla legge necessaria per l'adozione legittimante la dichiarazione di adattabilità, la quale presuppone a sua volta l'accertamento della situazione di abbandono così come prescritto nel successivo articolo 8, comma 1.

La tesi estensiva

La Cassazione ritiene di non aderire alla "tesi restrittiva", ritenendo che l'adozione in casi particolari può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore adottando (Cassazione, sentenza del 22 giugno 2016, n. 12962).

La conferma dell'assunto si trae anche dal successivo articolo 11, comma 1, nella parte in cui stabilisce che, relativamente al minore orfano di entrambi i genitori e privo di parenti entro il quarto grado che abbiano con lui rapporti significativi, il tribunale per i minorenni deve dichiarare lo stato di adattabilità, «salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44».

Le altre differenze di regime giuridico tra le due diverse categorie di adozione, hanno invece una portata applicativa più limitata.

Il limite dovuto alla differenza d'età si applica soltanto alle ipotesi sub a) e d) e l'estensione alle persone non sposate non riguarda l'ipotesi relativa all'adozione del figlio del coniuge, regolata dalla lettera b).

Deve, pertanto, essere pienamente valorizzata ai fini ermeneutici la portata generale della prescrizione contenuta nel primo comma dell'articolo 44, secondo la quale la preesistenza dello stato di abbandono non costituisce limite normativo all'applicazione della norma nella sua interezza e conseguentemente anche all'ipotesi descritta nella lettera d).

Sostenere invece che, per integrare la condizione della «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo», debba sempre sussistere la situazione di abbandono, oltreché contrastare con l'articolo 44, comma 1 - nella parte in cui ne esclude la necessità per tutte le ipotesi descritte dalla norma, senza distinzione tra le singole fattispecie, come invece si riscontra nel terzo comma dell'articolo 44 relativamente agli altri requisiti relativi all'età o all'insussistenza dello status coniugale - condurrebbe sempre ad escludere che, nell'ipotesi di cui alla lettera d), l'adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l'accertamento di una situazione di abbandono così come descritta nel citato articolo 8, coma l, della legge n. 184/1983.

Già sul piano dell'esame testuale delle norme l'adozione in casi particolari si caratterizza per una radicale differenza di disciplina in ordine alle condizioni di accesso non priva d'influenza sul piano sistematico.

Al riguardo, deve ritenersi che vi siano due modelli di adozione: quella legittimante, fondata sulla condizione di abbandono del minore; e quella non legittimante, fondata su requisiti diversi sia in ordine alla situazione di tatto nella quale versa il minore, sia in ordine alla relazione con il richiedente l'adozione.

All'interno di questa diversa categoria di genitorialità adottiva prevista dal nostro ordinamento, deve rilevarsi che delle quattro fattispecie di adozione in casi particolari descritte nell'articolo 44, quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore alle altre tre: nella prima, infatti, vengono esattamente definite le situazioni del minore (orfano di padre e madre) e dell'adottante (parente entro il sesto grado con preesistente rapporto stabile e duraturo con il minore); nella seconda, ugualmente, il minore adottando deve essere figlio, anche adottivo, di un coniuge e l'adottante non può che essere l'altro coniuge; nella terza, il minore deve essere orfano di entrambi i genitori e portatore di handicap, mentre non è richiesta alcuna condizione in ordine all'adottante; nella lettera d), invece, nessun requisito viene indicato  per definire i profili dell'adottante e dell'adottando, essendo soltanto prevista la condicio legis della «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo».

L'impostazione di cui alle considerazioni che precedono è del tutto coerente con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 383/1999.

Con questa pronuncia, infatti, la Corte ha affermato che: "l'articolo 44 della legge n. 184/1983 si sostanzia in una sorta di clausola residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell'adozione "legittimante", consentendo l'adozione dei minori "anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell'articolo 7".

In questa logica di apertura, la lettera c) fornisce un'ulteriore "valvola" per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b).

Inoltre l'articolo 44 è tutto retto dalla "assenza delle condizioni" previste dal primo comma del precedente articolo 7 della medesima legge n. 184: pertanto, gli stessi principi relativi alle prime due ipotesi dell'articolo 44 valgono anche per le fattispecie ricadenti sotto la lettera c).

Una ulteriore conferma della adottabilità del minori in tutti i casi rientranti nelle tre lettere dell'articolo 44 anche quando non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili si trae dal disposto del primo comma del precedente articolo 11. È evidente allora che, nelle ipotesi considerate, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un'adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella "legittimante", ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest'ultima.

Ciò è pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l'effettiva realizzazione degli interessi del minore.

L'attenzione prestata dalla Corte costituzionale all'aspetto della continuità affettiva ed educativa della relazione tra l'adottante e l'adottando, come elemento caratterizzante la realizzazione dell'interesse del minore, anticipa significativamente le linee ispiratrici degli interventi legislativi di riforma della filiazione e degli istituti dell'adozione e della stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, sviluppatasi nell'ultimo decennio intorno al contenuto e alla preminenza del "best interest" del minore anche rispetto all'interesse pubblico degli Stati.

In particolare, quanto ai predetti interventi legislativi, la riforma della filiazione, di recente attuata mediante la legge delega 10 dicembre 2012, n. 219, ed il già citato Decreto Legislativo n. 154/2013, ha modificato incisivamente la preesistente disciplina normativa degli status filiali, stabilendo solo per il figlio l'imprescrittibilità del diritto a far prevalere la verità biologica: questa opzione evidenzia il riconoscimento del rilievo delle relazioni instaurate e consolidate nel tempo tra genitore e figlio sotto il profilo del diritto di quest'ultimo a conservare tale profilo caratterizzante l'identità personale fin dalla nascita.

Inoltre, il medesimo principio, rafforzato dal canone dell'assunzione di responsabilità in ordine alle scelte genitoriali fatte consapevolmente, è a fondamento dell'art 9, commi 1 e 2, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40: in queste norme è stabilito, infatti, che un rapporto di filiazione - sorto per effetto dell'accesso a pratiche di procreazione medicalmente assistita vietate dalle legge, ove il consenso all'accesso a tali pratiche sia ricavabile da atti concludenti - non può essere messo in discussione mediante il disconoscimento di paternità, l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità o l'esercizio del diritto all'anonimato materno.

Ancora, la salvaguardia della continuità affettiva costituisce la ratio della già menzionata, recentissima legge n. 173/2015, tanto da costituire il titolo della novella, recante appunto «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare».

Infine, anche l'istituto dell'adozione in casi particolari è stato significativamente lambito dalle riforme legislative sopra indicate: infatti, con riferimento all'indagine da svolgersi ai sensi del menzionato articolo 57, coma 3, lettera a) - nel testo sostituito dall'articolo 29 della legge n. 149 del 2001 - il tribunale per i minorenni, al fine di verificare, oltre alla sussistenza dei requisiti normativi astratti, anche l'effettiva rispondenza dell'adozione richiesta all'interesse del minore, deve operare una specifica valutazione della «idoneità affettiva» del genitore adottante, valutazione la quale non può che essere effettuata sulla base di una relazione preesistente adottante-minore, come tale incompatibile con una situazione di abbandono.

In conclusione, ai fini dell'interpretazione della espressione «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo» da prescegliere, coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente, deve ritenersi sufficiente l'impossibilità "di diritto" di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella "di fatto", derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico- giuridico o di semi abbandono.

Al riguardo, deve osservarsi che le note sentenze della Cassazione n. 22292/2013 e n. 1792/2015 non smentiscono tale assunto.

Le due pronunce definiscono la nozione d'impossibilità dell'affidamento preadottivo in relazione alla richiesta di adozione ai sensi dell'articolo 44, comma l, lettera d), da parte di una coppia affidataria riferita ad un minore che era già in affidamento preadottivo presso altra coppia, perché in corso il procedimento volto all'adozione legittimante.

In questo peculiare conflitto, la Corte aveva ritenuto che l'impossibilità dell'affidamento preadottivo non potesse desumersi dall'allegato contrasto della scelta dell'adozione legittimante con l'interesse del minore. La condicio legis in questione viene, pertanto, esplorata sotto un versante del tutto diverso ed autonomo da quello oggetto del presente giudizio. La menzionata legge n. 173/2015, volta a facilitare l'accesso all'adozione legittimante da parte delle famiglie affidatarie che abbiano condiviso con il minore un lungo periodo di affidamento, è stata introdotta anche al fine di evitare conflittualità quali quelle alla base delle due richiamate pronunce.

L'interpretazione della «impossibilità di affidamento preadottivo» all'interno di conflitti quale quello sopra delineato non osta, in conclusione, alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche l'impossibilità "di diritto", e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l'interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura. 

Le pronunce della CEDU

Il quadro della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani è del tutto coerente con le conclusioni di cui sopra, dal momento che si sta sempre più affermando, in particolare nei procedimenti adottivi, il principio secondo il quale il rapporto affettivo che si sia consolidato all'interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti, salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione.

In tal senso si è espressa la Corte Europera nel caso Moretti e Benedetti contro Italia - ricorso n. 16318/2007 - deciso con la sentenza 27 aprile 2010, nella quale viene affrontato un conflitto analogo a quello sopra illustrato in ordine alla sentenza di questa Corte n. 22292/2013, ma con soluzione che privilegia la relazione istaurata con gli affidatari provvisori.

Iil medesimo principio è stato affermato nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia con sentenza del 27 gennaio 2015 - ricorso n. 25358 del 2012 - la cui fattispecie riguarda un progetto procreativo realizzato mediante gestazione per altri, vietato nel nostro ordinamento.

La Corte Europea, infine, con sentenza del 19 febbraio 2013 nel ricorso n. 19010 del 2007, ha riconosciuto anche in tema di adozione del figlio del partner (o adozione cosiddetta "coparentale") la violazione del principio di non discriminazione stabilito dall'articolo 14 della Convenzione in presenza di una ingiustificata disparità di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso, dal momento che nell'ordinamento austriaco tale forma di adozione era consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali.

La Corte di Strasburgo, al riguardo, ha sottolineato che l'Austria non aveva fornito «motivi particolarmente solidi e convincenti idonei a stabilire che l'esclusione delle coppie omosessuali dall'adozione coparentale aperta alle coppie eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia tradizionale» (par. 151 della sentenza).

Il rilievo della pronuncia si coglie in relazione all'applicazione del paradigma antidiscriminatorio. Nel caso di una discriminazione fondata sul sesso o l'orientamento sessuale, il margine di apprezzamento degli Stati è limitato, ed il consenso dei medesimi in ordine all'estensione del diritto all'adozione alle coppie formate da persone dello stesso sesso non è immediatamente rilevante, se in concreto si verifica una situazione di disparità di trattamento tra coppie di fatto eterosessuali e dello stesso sesso non fondata su ragioni «serie» (non essendovi evidenze scientifiche dotate di un adeguato margine di certezza in ordine alla configurabilità di eventuali pregiudizi per il minore derivanti dall'omogenitorialità, come riconosciuto anche dalla Cassazione con sentenza n. 601/2013).

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