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Scarico di acque reflue oltre i limiti di legge: quali sanzioni

Pubblicata in: Diritto penale

Il d.lg.152/2006 prevede sanzioni penali e amministrative per chi scarica acque industriali oltre i valori di emissione

La norma

L'impresa che scarica acque reflue deve rispettare determinati limiti di emissione per non incorrere in sanzioni penali e amministrative.

La norma di interesse è l'articolo 137, comma 5, del Decreto Legislativo n. 152/2006 (Testo Unico dell'Ambiente), secondo cui "Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro".

Nozione di scarico

La nozione di scarico contenuta nella lettera ff) dell'articolo 74, comma 1, del Decreto Legislativo n. 152/2006, consiste, testualmente, in "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo dì produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria...", aggiungendo poi dovere essere esclusi da detta nozione "i rilasci di acque previsti dall'art. 114".

Per aversi "scarico" è quindi necessaria una fisica "immissione" in un corpo ricettore (Cassazione n. 15317/2021; n. 24118/2017).

In mancanza di un contatto fisico tra il refluo ed il corpo ricettore, potrà configurarsi il reato di cui all'articolo 256 del Decreto Legislativo n. 152/2006, quale abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti (Cassazione, sentenza n. 50432/2019; n. 17178/2021).

Superamento dei valori limite - sanzioni

In caso di superamento dei valori limite, la normativa prevede due tipologie di sanzioni: amministrative o penali, a seconda della gravità della violazione.

E' poi prevista anche la responsabilità dell'ente in base al Decreto Legislativo n. 231/2001.

Sanzioni penali

Le sanzioni penali si applicano in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del TU Ambiente, secondo quanto previsto dall'137, comma 5, del Decreto citato.

Precisamente, si applica l'arresto fino a due anni e ammenda da tremila euro a trentamila euro quando, sono superati:

  • i valori limite della tabella 3;
  • nel caso di scarico sul suolo, i valori limite della tabella 4;
  • i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente.

Si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro quando sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5.

Le sanzioni sopra dette gravano sulla persona fisica responsabile dello scarico (generalmente, il rappresentante legale dell'impresa).

Sanzioni amministrative

Per le sostanze diverse da quelle sostanze indicate nella tabella 5, si applica la sanzione amministrativa da tremila euro a trentamila euro (articolo 133 comma 1).

I valori limite di emissione sono quelli fissati nelle tabelle di cui all'Allegato 5 del TU Ambiente, o quelli diversi stabiliti dalle regioni o dall'Autorità competente.

Se l'inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a ventimila euro.

Modalità di campionamento

La metodica normale per la verifica dei valori è quella del campionamento medio nell'arco delle tre ore, da applicarsi nel punto di fuoriuscita dall'impianto e senza tener conto dell'eventuale diluizione (articolo 74, comma 1, lettera 00).

Tale metodica tuttavia non esclude che l'organo di controllo possa procedere ad un campionamento diverso, anche istantaneo, in considerazione delle caratteristiche del ciclo produttivo, del tipo di scarico (continuo, discontinuo, istantaneo), del tipo di accertamento, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze.

La Cassazione infatti ha affermato che la metodologia indicata dal legislatore per il prelievo e il campionamento degli scarichi idrici ha carattere amministrativo e, come tale, non assurge a fonte di prova legale del carattere extratabellare degli scarichi, salva la ovvia facoltà del giudice di valutare l'attendibilità tecnica delle analisi compiute su campioni prelevati con metodiche diverse da quelle suggerite dal legislatore (Cassazione, sentenza n. 26437/2016; sentenza n. 30135/2017).

Ed è stato precisato che "la norma sul metodo di campionamento dello scarico ha carattere procedimentale, non sostanziale, sicché non può configurarsi come norma integratrice della fattispecie penale: essa indica il criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ma non esclude che il giudice possa motivatamente valutare la rappresentatività di un campione che, per qualsiasi causa, non è stato prelevato secondo il criterio ordinario" (Cassazione, sentenza n. 36701/2019).

Conseguentemente, nell'ambito del processo penale, non integra un vizio di inutilizzabilità dei campioni e conseguenti analisi, il mancato rispetto del metodo di campionamento "ordinario" (né tantomeno l'assenza nei verbali di campionamento dei motivi del ricorso al metodo di prelievo istantaneo), atteso che ciò che rileva è la adeguatezza della motivazione con cui l'organo giudicante ritenga congruo il ricorso allo specifico campionamento del caso concreto. Laddove tale motivazione non rileva sul piano della "inutilizzabilità" bensì solo su quello della adeguata rappresentatività - e quindi della efficacia probatoria - del metodo di prelievo utilizzato.

Guasto tecnico – Caso fortuito o forza maggiore

Il guasto tecnico non configura, secondo la prevalente giurisprudenza, una ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che potrebbe portare all'esponero della responsabilità e delle sanzioni.

E infatti il caso fortuito e la forza maggiore hanno, quale fondamento, la eccezionalità del fatto e la imprevedibilità dello stesso e che, in materia di inquinamento idrico, mentre i guasti tecnici dell'impianto sono accadimenti che, sebbene eccezionali, ben possono essere in concreto, previsti ed evitati (Cassazione, sentenza n. 24333/2014 in ipotesi di rottura di una condotta che aveva determinato la fuoriuscita dei reflui ).

Anche in altre occasioni la Cassazione ha escluso il caso fortuito o forza maggiore con riferimento a fenomeni di inquinamento addebitabili ad inconvenienti di natura tecnica, quali ad esempio la rottura di un tubo (Cassazione, sentenza n. 11410/1999; n.5863/1999; n. 6954/1996), il guasto ad una pompa che determini il cattivo funzionamento di impianti di depurazione (Cassazione, sentenza n. 7497/1991), la rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia (Cassazione, sentenza n. 3954/1995), la bruciatura di una resistenza (Cassazione, sentenza n. 9134/1991), la corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente all'acidità dei reflui medesimi (Cassazione, sentenza n. 1814/1998), l'intasamento di un depuratore per la presenza di scorie all'interno (Cassazione, sentenza n. 10153/1998) ed il piegamento di un tubo destinato ad immettere nell'impianto sostanze atte all'abbattimento dei valori di determinati inquinanti (Cassazione, sentenza n. 1054/2003).

L'insussistenza del caso fortuito è stata ritenuta anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici (Cassazione, sentenza n. 5050/1987).

Tali principi, formulati sotto la vigenza delle disposizioni in materia di inquinamento idrico che hanno preceduto quelle ora contemplate dal Decreto Legislativo n. 152/2006, sono tuttora validi e affermati in giurisprudenza.

Del resto, è stato anche affermato che il titolare di un insediamento produttivo ha il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l'adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza; e si è anche precisato che l'inclemenza atmosferica (dovuta a pioggia abbondante o freddo intenso), i guasti meccanici dell'impianto di depurazione, i comportamenti irregolari dei dipendenti non sono fatti imprevedibili e pertanto non costituiscono caso fortuito o forza maggiore (Cassazione, sentenza n. 8828/1989).

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