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Bancarotta fraudolenta: responsabilità dell'amministratore di fatto e di diritto

Pubblicata in: Diritto penale

L'amministratore di fatto risponde per il reato di bancarotta al pari dell'amministratore di diritto (Cassazione, sentenza del 26 giugno 2013, n. 45671)

In tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall'articolo 2639 del Codice civile, assume la qualifica di amministratore "di fatto" della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto".

Conseguentemente, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell'amministratore "di diritto", anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della regola di cui all'articolo 40, comma 2, del Codice penale (cfr. Cassazione, sentenza del 20 maggio 2011, n. 39593; Cassazione, sentenza del 2 marzo 2011, n. 15065 ).

Consolidato appare all'interno della giurisprudenza di legittimità anche l'orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 del Codice civile, postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se "significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.

La posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale.

La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale "intraneus" che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell' "iter" di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi - rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti - in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.

Peraltro l'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica.

In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui alla Legge fallimentare, articoli 216 e 223, vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Cassazione, sentenza del 13 aprile 2006, n. 19145).

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