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Figli a carico: diritto di soggiorno nell'UE

Pubblicato in: Immigrazione

I figli a carico di un cittadino dell'Unione Europea o del suo coniuge hanno diritto di soggiornare nel territorio (Corte UE, sentenza del 16 gennaio 2014, causa n. 423-12)

L'articolo 7 della Direttiva dell'Unione Europea 2004/38 prevede il diritto di soggiorno fino a tre mesi per i familiari di cittadini UE.

Per "familiari" si intendono, ai sensi dell'articolo 2 della stessa Direttiva, anche i "discendenti diretti di età inferiore ad anni 21 o a carico e quelli del coniuge o partner".

Al riguardo, la Corte dell'Unione Europea (con la sentenza del 16 gennaio 2014, nella causa n. 423-12) ha esaminato il significato dell'espressione "a carico" ed in particolare se sia necessario che l'interessato dimostri di aver inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto per provvedere al proprio mantenimento dalle autorità del Paese di origine e/o di aver tentato con ogni mezzo di assicurare il proprio sostentamento.

La Corte Europea ha affermato che per essere considerato "familiare a carico" è necessario dimostrare l'esistenza di una reale situazione di dipendenza.

Siffatta dipendenza potrebbe risultare, ad esempio, da una situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il sostegno materiale del familiare è garantito dal cittadino dell'Unione che si è avvalso della libertà di circolazione o dal coniuge dello stesso.

Per valutare l'effettiva dipendenza, lo Stato membro ospitante deve valutare se, alla luce delle sue condizioni economiche e sociali, il discendente diretto del cittadino dell'Unione, di età pari o superiore ad anni 21, non sia in grado di sopperire ai propri bisogni essenziali.

La necessità del sostegno materiale deve esistere nel Paese di origine o di provenienza del discendente stesso nel momento in cui questi chieda di ricongiungersi con detto cittadino.

D'altra parte - precisa la Corte - non è necessario stabilire quali siano le ragioni di tale dipendenza e quindi del ricorso al detto sostegno.

Tale interpretazione discende dal principio secondo cui le disposizioni  che sanciscono la libera circolazione dei cittadini dell'Unione, quale la Direttiva 2004/38, essendo parte integrante dei fondamenti giuridici dell'Unione, vanno interpretati in modo estensivo.

Nel caso concreto esaminato dalla Corte Europea, quindi, è stata attribuita rilevanza determinante  al fatto che il cittadino dell'Unione versava regolarmente per un periodo di tempo considerevole somme di denaro al proprio discendente, necessarie a quest'ultimo per soddisfare i suoi bisogni essenziali nel Paese di origine.

In tale contesto - afferma la Corte - non si può pretendere che tale discendente dimostri di aver invano tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto dal proprio Stato.

Tale dimostrazione, infatti, è certamente assai difficoltosa e, ove fosse richiesta dallo Stato di destinazione, rendere eccessivamente difficile l'attuazione del diritto di soggiorno e di libera circolazione sanciti dalla citata Direttiva 2004/38, con la vanificazione dei principi ivi contenuti.

Pertanto, la Corte Europea ha sancito che gli Stati membri non possono richiedere ai familiari dei cittadini UE la dimostrazione di aver cercato un lavoro o altro sostegno nel Paese di origine, mentre è sufficiente dimostrare l'effettiva situazione di dipendenza economica.

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