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Corte di Cassazione: Sentenza n.6026 del 18 aprile 2012

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore deve dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 5100/08, depositata il 12 ottobre 2009. pronunciava sull'impugnazione proposta da V. A. nei confronti della società B. spa, in ordine alla sentenza emessa il 22 ottobre 2001 dal Tribunale di Roma.

2. Il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal V. avente ad oggetto l'impugnazione del licenziamento intimatogli dalla suddetta società in quanto non tempestivo.

3. La Corte d'Appello, con sentenza non definitiva del 29 maggio 2003, rigettava l'eccezione di decadenza del V. dall'impugnazione del recesso, ed ammetteva prova per testi.

3.1. Pronunciando in via definitiva, il giudice di secondo grado accoglieva l'appello e dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato il 21 maggio 2000 e conseguentemente lo annullava; ordinava la reintegrazione del V. nel posto dì lavoro e condannava la società B. al risarcimento del danno parametrato nelle mensilità dì retribuzione detratto Valiunde perceptum, come precisato in dispositivo, oltre interessi e rivalutazione, i primi al saldo, la seconda ad oggi dalle scadenze. Condannava la società B. alla regolarizzazione previdenziale e assistenziale per quanto riguardava la posizione in questione. Condannava la resistente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d'Appello di Roma ricorre la società B. spa, prospettando un articolato motivo di ricorso.

5. Resiste V. A. con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. La società premette in tatto le seguenti circostanze processuali che si ritiene opportuno richiamare:

il Tribunale di Roma accoglieva l'eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza ex art. 6 della legge n. 604 del 1966, compensando tra le parti le spese di giudizio;

la Corte d'Appello con la sentenza non definitiva n. 2264/03 rigettava l'eccezione di decadenza del V. dall'impugnazione del recesso e disponeva la prosecuzione del giudizio come da separata ordinanza.

proposto da essa società ricorso per cassazione avverso la suddetta pronuncia, questa Corte, con la sentenza n. 17014 del 2007 rigettava l'impugnazione.

2. L'unico motivo di ricorso ha ad oggetto omessa e insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: la prova circa le conoscenze di tipo economico e contabile dell'ing. V., esperto informatico, il reimpiego di questi in altre posizioni lavorative di natura informatica, l'adempimento dell'obbligo del ed, rc.p.c.chage; vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c., violazione dell'art. 132 c.p.c., per quanto attiene la motivazione della sentenza, vizio ex art, 360, n. 3, c.p.c..

2.1. A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente rimarea ancora in fatto che il V. veniva licenziato con preavviso per soppressione della sua posizione di lavoro con lettera del 21 maggio 2000. Interveniva, infatti, la definitiva soppressione della Direzione Sistemi Informativi con conseguente radicale riorganizzazione delle relative funzioni e delle attività delle specifiche aree.

In particolare, l'area "System Technology7' e l'area '"Application", dal 1° giugno 2000 sarebbero state trasferite alle dirette dipendenze gerarchico funzionali della Direzione del personale, e avrebbero gestito direttamente ed in modo autonomo l'attività di budget, ognuna per la parte della propria specifica competenza, nonché la residuale attività di Marketing Support,

Pertanto, la soppressione della Direzione Sistemi Informativi ed i conseguenti e previsti accorpamenti di attività nelle due aree sopra richiamate facevano venir meno la funzionalità dell'area "Marketing Support" e "Budget Control", cioè della posizione di lavoro del V. che, quindi, veniva definitivamente eliminata dall'organigramma aziendale.

Non essendo stato possibile rinvenire nell'ambito dell'organizzazione aziendale alcuna possibilità di una proficua ricollocazione del V., che tenesse conto del livello professionale dello stesso e di inquadramento, il rapporto di lavoro veniva risolto a decorrere dal 31 maggio 2000.

11 V. veniva dispensalo dall'effettuare il periodo contrattuale di preavviso, in sostituzione del quale gli sarebbe stata corrisposta la relativa indennità sostitutiva, unitamente alle competenze di fine rapporto maturate.

3. Le numerose censure contenute in ricorso sono prive di giuridico fondamento.

4. La censura con la quale viene prospettata la violazione di legge (art. 132 c.p.c.), che lungi dall'avere una propria autonomia è dedotta quale indice del vizio di motivazione della sentenza, non è fondata.

5. L'esame di detta doglianza pone, infatti, in evidenza come vengano in rilievo, nella fattispecie in esame, ai fini della verifica della congruità e correttezza della motivazione, in ragione della complessiva impugnazione, i seguenti istituti:

  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nella specie per la intervenuta soppressione della posizione occupata dal V.;
  • modalità di deduzione del vizio di motivazione;
  • ambito del sindacato di legittimità del vizio dì motivazione;
  • risultanze istruttorie e valutazione delle stesse da parte del giudice di merito;
  • repechage, onere della prova.

6. È opportuno, quindi, in primo luogo richiamare i principi affermati in merito dalla giurisprudenza di legittimità, rilevanti ai fini della presente impugnazione.

6.1. Licenziamento per giustificalo motivo oggettivo. Il giustificato motivo oggettivo, che consiste in "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa" (legge n. 604 del 1966, art. 3), può ravvisarsi nella soppressione del posto di lavoro, inteso come attività lavorativa e quindi mansioni svolte dal dipendente poi licenziato, ed in tal caso facoltizza, di conseguenza, il datore di lavoro a riorganizzare l'attività produttiva tra altri dipendenti, diversi da quello licenziato (in tal senso ex plurimis Cass., n. 21282 del 2006, n. 21121 del 2004).

Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è determinato non da un generico ridimensionamento dell'attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collogate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale (ex multis, Cass. n. 19616 del 2011, n. 21282 del 2006).

6.2.. Modalità di deduzione del vizio di motivazione. La censura non può limitarsi a prospettare una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice del merito, mentre secondo giurisprudenza unanime di questa Corte il motivo di ricorso per Cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360 c.p.c.. n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., Cass. n. 6064 del 2008, n. 7394 de! 2010).

6.3 .Sindacato di legittimità sul vizio di motivazione.

Come questa Corte ha più volte affermato (ex muitis, Cass., n. 6288 del 2011), il vìzio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica. l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

La rivisitazione da parte del ricorrente delle circostanze fattuali già esaminate dalla Corte territoriale non può consentire una diversa valutazione delle medesime, poiché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice dì legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire V identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi dì contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimìs, Cass., n. 8718 del 2005, n. 15693 del 2004, n. 12467 del 2003).

Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (efr, ex plurimis, Cass., n. 12121 del 2004, Cass., n. 6229 del 2007).

6.4. Costituisce principio costantemente affermato da questa Corte che l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr, ex plurimis, Cass., n. 17097 del 2010, n. 27464 del 2006).

Il giudice del merito non è tenuto ad analizzare singolarmente le deposizioni dei testimoni, essendo sufficiente che la decisione sia fondata sugli elementi che egli reputi pertinenti ed attendibili. La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, dì quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di tatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più1 attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ex multis, Cass., n. 42 del 2009).

6.5. Rc.p.c.chage, prova. L'onere, incombente sul datore dì lavoro, di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, concernendo un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti, quali la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, ovvero che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati (cfr.. ex plurimis, Cass., n. 7717/2003).

L'onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore. implica comunque per quest'ultimo un onere di deduzione e allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, sicché ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l'onere dì offrire la prova sopraindicata (cfr, ex plurimis. Cass., n. 6556 del 2004, n. 24235 del 2010).

7. Nella fattispecie in esame, in ragione dei richiamati principi, la sentenza resa in grado d'appello si sottrae al vizio dedotto dalla società ricorrente.

La decisione della Corte d'Appello di Roma, ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, lenendo conto della "complessa prova espletata", prendendo in esame le note autorizzate (alle quali fa espresso riferimento con riguardo al programma CAT)   svolgendo un percorso argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici, cosicché le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano un'opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole, che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr. Cass., n. 24235 del 2010, Cass., n. 6229 del 2007). Per contro, nella specie, il ricorrente si limita ad opporre alle valutazioni del Giudice di merito, quanto alle risultanze dì causa, offrendo una propria lettura delle testimonianze richiamate, peraltro, in parte, attraverso il filtro dell'atto difensivo delle note autorizzate, una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, censurando il convincimento e l'apprezzamento del giudice risultante difforme da quello auspicato e chiedendo per ciò stesso un riesame del mento non consentito in questa sede. Pertanto, le sue censure non possono trovare accoglimento.

7.1. Ed infatti, la Corte d'Appello, con corretta e congrua motivazione che rendono la sentenza conforme alla previsione dell'art. 132 c.p.c., nel ritenere che il giustificato motivo non appariva comprovato, sia perché era emerso che l'appellante - pacificamente "responsabile applicazioni software divisione commerciale gioielleria e orologeria" (e nel ricorso la società afferma che il Vaccaio, nell'ambito del sistema Information Technology, era responsabile del software CAT "store package", per la gestione dei negozi) - era in grado di occuparsi del nuovo sistema per il quale si era ricorso ad altro lavoratore, sia perché sussistevano varie altre occasioni di lavoro coerenti con la sua pregressa attività di esperto di altissimo rango di questioni informatiche, affermava, in particolare, con un percorso argomentativo logico, che il V. era ingegnere esperto nel settore dell'informatica e della finanza, come si rilevava dalle attività prestate in precedenza, e che era irragionevole la mancata adibizione dell'appellante al nuovo sistema, in ragione della necessità di conoscenze di tipo economico e contabile, in quanto le stesse emergevano dalle attività pregresse, cosi come appariva irragionevole ed inverosimile che la B. non fosse a conoscenza del curriculum di un dipendente (che evidenziava le suddette attività), che occupava prima della ristrutturazione un posto di altissima importanza e responsabilità.

Occorre ricordare, altresì, che la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c., non richiede l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l'esigenza di un'adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare V "iter" seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass, ord.. n. 8294 del 2011).

Correttamente e congruamente, altresì, la Corte d'Appello ha affermato che gravava sulla B. dimostrare che tutte le posizioni lavorative dei dipendenti impiegati in mansioni di carattere informatico che potevano essere svolte dal V., evocate, erano incompatibili con te caratteristiche professionali dell'appellante, e tale prova non risultava raggiunta poiché per alcuni dei testi escussi (cfr., richiamo testi C. e B.) l'appellante sarebbe stato in grado di ricoprire molte di tali posizioni professionali, e il curriculum dello stesso, gli incarichi sino a quel momento ricoperti, avvaloravano tale tesi. Né la Corte d'Appello pone in relazione, contraddittoria, come asserito dalla ricorrente, l'offerta di una posi/.ione lavorativa all'estero (Svizzera), con la posizione di altro dipendente.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 2000 per onorario, euro 30,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA

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