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Corte di Cassazione: Sentenza n.23741 del 17 settembre 2008

Nel pubblico impiego privatizzato, l'abrogazione del divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori ha efficacia retroattiva (Cassazione, sentenza 17 settembre 2008, n. 23741)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20 aprile 2004 il Tribunale di Enna, accogliendo il ricorso proposto da E.S., condannava la Azienda Sanitaria Locale n. [omissis] al pagamento delle differenze retributive tra quanto spettante come assistente tecnico programmatore e quanto percepito, con riferimento al periodo dal 7 gennaio 1996 al 4 luglio 2000; su impugnazione dell'Azienda, la statuizione veniva confermata dalla Corte d'appello di Caltanissetta con la sentenza in epigrafe indicata.

La Corte territoriale - premesso che l'E., avente la qualifica di coadiutore amministrativo (cat. B del c.c.n.l. del 1999), con ordine di servizio del 7 gennaio 1996 era stato assegnato al Centro Elaborazione Dati per svolgere le superiori mansioni di assistente tecnico programmatore (Cat. C del c.c.n.l.) - rilevava che le corrispondenti differenze stipendiali gli erano state corrisposte, a seguito di delibera del direttore generale, solo dal primo dicembre 1997 e non già dalla data di effettivo conferimento dell'incarico; inoltre, poiché nella stessa delibera si precisava che gli effetti del riconoscimento sarebbero cessati al momento della copertura dei posti di assistente programmatore, per i quali erano già state avviate le procedure concorsuali, con delibera 27 luglio 2000, n. 2011, si era stabilito che il maggiore trattamento economico spettava solo per i dodici mesi dal primo dicembre 1997 al 30 novembre 1998, mentre le superiori somme indebitamente percepite fino al 31 luglio 2000 sarebbero state recuperate attraverso trattenute mensili sulle buste paga.

Ciò premesso la Corte territoriale, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dalla Azienda, nel merito rigettava il motivo d'appello incentrato sull'ammontare della condanna, sul rilievo che la somma dovuta non era stata determinata dal primo Giudice, il quale aveva fatto automatico riferimento ai criteri dettati dal c.c.n.l. e che la contestazione dell'Azienda era generica.

Avverso detta sentenza la Azienda Sanitaria Locale n. [omissis] ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

Resiste il lavoratore con controricorso.

Le sezioni unite di questa Corte, cui la causa era stata rimessa in relazione al primo e secondo motivo di ricorso concernente la giurisdizione, con la sentenza n. 5907 del 2008, hanno affermato che la giurisdizione spetta all'AGO solo in relazione al periodo successivo al 30 giugno 1998, rimettendo alla sezione lavoro l'esame degli ultimi tre motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il terzo mezzo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 51, 52, 2, 5, 63, della l. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E, dell'art. 2033 c.c., e difetto di motivazione sulla sussistenza del potere di autotutela della PA in relazione agli atti amministrativi presupposti rispetto agli atti di gestione del rapporto. In relazione al periodo ancora controverso dal primo dicembre 1998 al 4 luglio 2000 rientrante nella giurisdizione AGO, la ricorrente - premesso che si doveva verificare la legittimità della delibera del 2000 di accertamento dell'illegittimità della adibizione a mansioni superiori e di recupero delle maggiori somme indebitamente erogate - sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, la medesima delibera sarebbe legittima, in quanto espressione di autotutela dell'Amministrazione, cui è rimesso di ritirare gli atti illegittimi a garanzia del pubblico interesse.

Anche nel regime di privatizzazione permarrebbero alcuni atti amministrativi che non potrebbero mutarsi in atti privatistici di gestione del rapporto.

Nella specie essa ricorrente, con la delibera 28 ottobre 1999, aveva erroneamente attribuito le superiori mansioni per il periodo eccedente i 12 mesi, mentre detta attribuzione era consentita solo non oltre l'anno nei casi di attivazione del concorso per la copertura dei posti in organico, per cui con la delibera del 2000 aveva rettificato quella precedente, riducendola nei limiti previsti dalla legge e dal c.c.n.l. Con il quarto mezzo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 e 1324 c.c., del d.lgs. n. 80 del 1998, art. 25, comma 5, e dell'art. 28 del c.c.n.l. del comparto, dell'art. 112 c.p.c., e difetto di motivazione, perché la Corte territoriale non avrebbe motivato in relazione alla ulteriore censura formulata con l'atto di appello, concernente la nullità di atti negoziali unilaterali o bilaterali posti in essere in violazione della legge, e cioè con violazione delle disposizioni sul divieto di espletamento delle mansioni superiori per oltre dodici mesi.

Con il quinto motivo si denunzia ancora violazione dell'art. 112 c.p.c., per extra petizione e per difetto di motivazione, per il fatto che nel motivo d'appello si era lamentato che fosse stata emessa condanna generica, che invece non poteva essere emanata, in quanto in ricorso era stata chiesta la condanna di essa ASL al pagamento di una somma precisa. I motivi non meritano accoglimento.

1. In primo luogo, com'è stato più volte affermato (tra le tante Cass. n. 3360 del 18 febbraio 2005) "In tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall'amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, secondo una precisa scelta legislativa, nel senso dell'adozione di moduli privatistici dell'azione amministrativa, che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., (sentenze nn. 275 del 2001 e 11 del 2002).

Ne consegue che, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi, ma il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato, che si esercita mediante atti di natura negoziale, versandosi fuori delle materie di cui alla l. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, comma 1, lett. c), nn. da 1 a 7, conservate al diritto pubblico a norma del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, comma 1, e, poi, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1. Quindi anche gli atti di "autotutela" che l'amministrazione adotta, nella specie per conformare la propria azione alle regole poste dalla legge sulla durata degli incarichi di svolgimento delle mansioni superiori, sono atti di diritto privato.

Né è ipotizzabile l'esistenza di alcun atto amministrativo presupposto, perché l'atto di cui si discute, ossia la disposta revoca dell'incarico, ha una valenza esclusivamente individuale, essendo atto di gestione del singolo rapporto, che non ha alcun rilievo come atto di amministrazione di portata generale.

Nel caso in esame non vi è dubbio che i provvedimenti di revoca delle mansioni fossero legittimi, in quanto giustificati dalla necessità di adeguare la durata dell'incarico medesimo a quella prevista dalla legge (d.lgs. n. 80 del 1998, art. 56, comma 2, lett. a), che la fissa in un massimo di dodici mesi in caso di vacanza del posto in organico), ma occorre poi verificare, ed è questo l'oggetto della causa, se l'E. avesse il diritto alle retribuzioni corrispondenti alle superiori mansioni per tutto il periodo di svolgimento, anche se di ampiezza superiore a quello di legge; occorre in altri termini decidere se il superamento del termine di legge comporti che, per il periodo eccedente, debba essere escluso il diritto alle differenze retributive, essendo incontestato in fatto che le superiori mansioni furono espletate per tutto il periodo rientrante nella giurisdizione AGO, ossia dal primo luglio 1998 al 31 gennaio 2000, ed essendo in contestazione proprio il diritto della ricorrente a ripetere le maggiori somme erogate, tramite trattenute sulle buste paga.

2. La giurisprudenza di questa Corte ha deciso la questione con varie sentenze (tra le tante Cass. Sez. Un. n. 25837 dell'11 dicembre 2007) con cui si è affermato che "In materia di pubblico impiego contrattualizzato - come si evince anche dal d.lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nel testo, sostituito dal d.lgs. n. 80 del 1998, art. 25, e successivamente modificato dal d.lgs. n. 387 del 1998, art. 15, ora riprodotto nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 32, l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost.; detto principio deve trovare integrale applicazione - senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza".

2.1 Così è stato affermato sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che, con numerose pronunzie ha patrocinato la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati dall'art. 36 Cost., specificando al riguardo che detta norma "determina l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato" a prescindere dalla eventuale irregolarità dell'atto o dall'assegnazione o meno dell'impiegato a mansioni superiori (Corte Cost. 23 febbraio 1989, n. 57; Corte Cost. ord. 26 luglio 1988, n. 908); il Giudice delle leggi ha altresì precisato che "il principio dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è incompatibile con il diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall'art. 36 Cost.)" (Corte Cost. 27 maggio 1992, n. 236); inoltre, il mantenere da parte della pubblica amministrazione l'impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determina una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto - ai sensi dell'art. 2126 c.c., e, tramite detta disposizione, dell'art. 36 Cost. - perché non può ravvisarsi, nella violazione della mera ristretta legalità, quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto "con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell'ordinamento" e che, alla i stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost. 19 giugno 1990, n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del d.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2).

2.3. L'estensione della norma costituzionale all'impiego pubblico è condivisa anche dalla dottrina giuslavoristica che evidenzia come - pur essendo a seguito del d.lgs. n. 165 del 2001, il trattamento economico dell'impiegato disciplinato dalla contrattazione collettiva e pur essendo detta contrattazione non priva di vincoli unilateralmente opposti per fini di controllo della spesa pubblica (quali quelli derivanti dai primi tre commi dell'art. 48, del suddetto decreto) - questi non impediscano comunque la piena operatività, anche nel settore del lavoro pubblico, dei principi costituzionali di proporzionalità ed efficienza della retribuzione espressi dall'ari. 36 Cost. Principio questo che poggia sulla peculiare corrispettività del rapporto lavorativo - qualificato dalla specifica rilevanza sociale che assume in esso la retribuzione volta a compensare "una attività contrassegnata dall'implicazione della stessa persona del lavoratore", il quale ricava da tale attività il mezzo normalmente esclusivo di sostentamento suo e della sua famiglia.

2.4. Deve essere quindi ribadito il principio secondo il quale, nel pubblico impiego privatizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal d.lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, come modificato dal d.lgs. n. 80 del 1998, art. 25, è stato soppresso dal d.lgs. n. 387 del 1998, art. 15, con efficacia retroattiva. Ossia, il principio della retribuzione proporzionato e sufficiente ex art. 36 Cost., è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali (cfr. al riguardo Cass. 17 aprile 2007, n. 9130, Cass. 14 giugno 2007, n. 13877, Cass. 14 giugno 2007, n. 13877; Cass. 8 gennaio 2004, n. 91; Cass. 4 agosto 2004, n. 19444).

3. Non è fondato neppure il quinto ed ultimo mezzo, in quanto la Corte territoriale ha rilevato che con il terzo motivo d'appello la Asl si doleva che il primo giudice non avesse considerato che gli importi dovuti erano stati contestati: la censura non si appuntava dunque sul rilievo che, erroneamente, in primo grado - in presenza della richiesta fatta nel ricorso introduttivo di un ammontare economico preciso - non fosse stata esattamente liquidata la somma spettante. La sentenza impugnata ha invece interpretato la censura come diretta a contestare il conteggio ed è noto (tra le tante Cass. n. 27789 del 16 dicembre 2005 e n. 11667 del 29 luglio 2003) che la interpretazione sia del ricorso introduttivo, sia dei motivi di impugnazione spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità come difetto di motivazione, difetto che nella specie non è stato esplicitato.

I motivi di ricorso dal terzo al quinto vanno quindi rigettati.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 22,00, oltre duemila Euro per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

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