Link per l'accessibilità Vai ai contenuti principali Vai ai contatti
via F. D. Guerrazzi, 15
Villanova di Guidonia (Roma)
0774 526639

Corte di Cassazione: Sentenza n.1202 del 20 gennaio 2006

L'addebito della separazione presuppone un effettivo nesso causale tra il comportamento illegittimo del coniuge e la crisi matrimoniale (Cassazione, sentenza 20 gennaio 2006, n. 1202)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - Con sentenza depositata, il 3 agosto 2001, il Tribunale di Firenze, pronunciando sulla domanda proposta da P.A. nei confronti del marito M.I. e sulla riconvenzionale interposta da quest'ultimo, dichiarava la separazione personale dei coniugi, con addebito della stessa alla moglie; disponeva l'affidamento della figlia V. ad entrambi i genitori, con domiciliazione presso la madre, stabilendo le modalità di frequentazione da parte del padre; poneva a carico della P. il mantenimento della figlia V. ed a carico del M. quello del figlio V., maggiorenne, con lui convivente; assegnava al marito la casa coniugale; dichiarava totalmente compensate tra le parti le spese di lite.

2. - Su gravame della P., la Corte d'Appello di Firenze, con sentenza n. 26, depositata il 16 gennaio 2003, in parziale riforma dell'impugnata pronuncia, escludeva l'addebitamento alla P. della separazione personale; affidava la figlia V. alla madre, ferme restando le già stabilite facoltà di frequentazione del padre; disponeva a carico del M. ed a favore della P. un contributo di Euro 250,00 mensili per il mantenimento della figlia minorenne V., con decorrenza dal gennaio 2002 e con rivalutazione ISTAT annuale; compensava per metà tra le parti le spese di entrambi i gradi e condannava l'appellato a rifondere all'appellante l'altra metà.

In punto di addebito, la Corte d'Appello osservava che la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi era dipesa dalle continue discussioni tra la P. e la suocera, con essi convivente, contrasti che il M. non aveva cercato, come era suo dovere, di appianare al fine di costituire una salda unione coniugale, e che ciò aveva comportato anche un progressivo deterioramento dei rapporti sessuali tra gli stessi coniugi. Secondo i Giudici d'appello, l'abbandono del domicilio coniugale da parte della P., avvenuto nell'estate del 1996, "non è dimostrato essere stato un comportamento, violatore dell'obbligo di convivenza, e posto in essere a seguito dell'instaurata relazione sentimentale", la frattura del rapporto matrimoniale ben potendo esservi già in tale periodo. La Corte d'Appello escludeva che "l'affermazione del M. di avere appreso verso la fine del 1995 della relazione extraconiugale della moglie" fosse stata confermata "dalle prove orali successivamente assunte"; e, siccome i testi non avevano indicato la data in cui avevano saputo "(peraltro per vox populi,come riferito dal teste M.)" di questa relazione, riteneva scarsamente significativa "la circostanza, riportata dal teste L., di avere visto la P. salire su una autovettura guidata da un uomo che non era suo marito ma un collega di lavoro".

Quanto all'affidamento della figlia V., disposto dal Tribunale congiuntamente ad entrambi i coniugi sul rilievo che la madre non fosse in grado, da sola, di gestire il rapporto genitoriale, la Corte Territoriale osservava che la relaziona del servizio sociale non aveva evidenziato incapacità della madre a coltivare il rapporto con la figlia, ma soltanto difficoltà di ordine pratico per gli spostamenti di V. tra casa e scuola, peraltro superabili con una maggiore disponibilità alla collaborazione, sul punto, tra i genitori. La Corte di Firenze giudicava la sistemazione di V., affidata di fatto alla madre fin dall'epoca dai provvedimenti presidenziali, risalenti al maggio 1997, sicuramente confacente allo sviluppo della personalità della minore, e riteneva che questa situazione dovesse essere mantenuta, ma con affidamento, in via esclusiva, alla madre, ferme restando le modalità di frequentazione da parte del padre come determinate dal Tribunale, modalità considerate dalla Corte "ben armonizzate allo scopo di conferire il giusto rilievo alla figura paterna".

Infine, in ordine all'assegno di mantenimento, i Giudici di appello ne oneravano il M., tenuto conto delle di lui maggiori capacità economiche, del fatto che il figlio V., con esso convivente, pur bisognoso di cure, disponeva di un proprio reddito di lavoro, e dell'impossibilità per la P. di fare adeguatamente fronte, da sola, alle sempre crescenti necessità della figli.

3. - Avverso questa sentenza, notificata il 17 marzo 2003, ha interposto ricorso per Cassazione M.I., con atto notificato il 16 maggio 2003, deducendo quattro motivi di censura, ai quali resiste, con controricorso, P.A..

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 146 cod. civ. e dell'art. 2697 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la Corte Territoriale non abbia confermato l'addebitamento della separazione alla moglie.

Osserva il ricorrente che dalle stesse dichiarazioni della P., rese di fronte al Tribunale all'udienza del 17 febbraio 1999, emergerebbe che costei si allontanò dalla casa familiare nel giugno 1996, prima dell'instaurazione dal giudizio di separazione; che la circostanza dal deterioramento dai rapporti matrimoniali, a cominciare da quelli sessuali, determinate dai continui attriti con la suocera, sarebbe stata confermata da un unico teste, P. S., sorella della parte; che la decisione di andare a vivere, dopo il matrimonio, con la madre del M. fu presa concordemente dai coniugi, i quali sin dall'inizio della loro unione matrimoniale non avevano possibilità economiche di trasferirsi altrove; che la convivenza con la madre del M. aveva permesso alla coppia di mandare entrambi i figli alla scuola privata (cosa che sarebbe stata altrimenti impossibile per due lavoratori dipendenti, un operaio ed una parrucchiere, con un affitto da pagare) e di evitare di dover ricorrere ad una baby-sitter) che il deterioramento dei rapporti, sessuali tra i coniugi non sarebbe derivato dal comportamento della suocera, ma semmai dal fatto che - come affermato dalla stessa P. in sede di interrogatorio formale - con loro dormivano i bambini, prima V. fino all'età di dieci anni e poi la figlia V., pur esistendo nell'appartamento una cameretta per i figli.

Inoltre, riguardo alla relazione sentimentale della P. con un altro uomo, il ricorrente critica la conclusione cui e pervenuta la Corte d'Appello, la quale, pur ritenendo provata la relazione sentimentale, ha escluso che le prove testimoniali avessero dimostrato che questa dal punto di vista temporale fosse iniziata prima della separazione. La Corte avrebbe omesso di valutare il rapporto del servizio sociale, dal quale emergerebbe che la figlia V. riferì alla psicologa che "in passato viveva con loro il fidanzato dalla mamma e che dormivano in tre in un letto".

La Corte d'Appello avrebbe anche omesso di valutare il comportamento della P. in riferimento alla malattia del figlio V..

Infatti, quando costei si allontanò - nel giugno 1996 – dalla residenza familiare, il figlio era ricoverato in ospedale ed in tale occasione gli fu diagnosticata una gravissima malattia, la sclerosi multipla.

La sentenza impugnata, infine, non conterrebbe una congrua motivazione in ordine all'eventuale giusta causa dell'allontanamento del coniuge dalla residenza familiare.

2. - La complessa censura è infondata.

2.1. - La Corte d'Appello ha ritenuto provato, sulla base degli accertamenti svolti dal primo Giudice, che tutti i problemi dei coniugi traevano origine e fondamento dalle continue discussioni tra la P. e la suocera, con essi convivente, contrasti che il M. non aveva cercato, come era suo dovere, di risolvere e neppure di mitigare al fine di costituire una salda unione coniugale, con ciò determinandosi anche un progressivo logoramento del rapporto affettivo fra gli stessi coniugi.

La Corte Territoriale ha logicamente considerato tali circostanze come un impedimento, oggetti vo (e quindi rilevante a prescindere dalla responsabilità dei soggetti coinvolti) ed insuperabile, alla prosecuzione della vita familiare.

I giudici d'appello hanno del pari escluso l'esistenza di fatti specifici addebitabili alla P. che potessero essere considerati causa efficiente della irreversibile crisi coniugale. Nel rigettare la richiesta di addebitamento alla moglie della separazione coniugale, la Corte di Firenze ha negato, da un lato, che il fallimento dalla convivenza fosse dipeso dall'allentamento dalla casa familiare da parte della P. - in quanto verificatosi quando l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza ai era già verificata per altra causa ed in conseguenza di ciò - e, dall'altro, che fosse stata raggiunta la prova di una violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale da parte della P. anteriormente alla separazione di fatto tra i coniugi.

La convincente e chiara esposizione degli elementi di prova, delle regole di inferenza e dei criteri in base ai quali i Giudici del gravame sono pervenuti alla ricostruzione dei fatti adottata in sentenza, consente il controllo del procedimento logico-giuridico seguito da quei medesimi Giudici, controllo che rappresenta anche il limite di sindacabilità della decisione di merito da parte della Corte di Cassazione.

Le deduzioni del ricorrente volte a censurare la mancata considerazione di elementi di causa si rivelano generiche e non decisive: posto che l'episodio raccontato dalla figlia alla psicologa dal servizio sociale, concernente la convivenza dalla madre con il "fidanzato", si colloca temporalmente in un periodo successivo all'allontanamento dalla casa familiare, quando oramai, in base alla stringente ed esaustiva motivazione della Corte Territoriale, il rapporto matrimoniale era irrimediabilmente deteriorato, e dunque l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza o della sua ripresa si era già manifestata; e considerato che la circostanza della malattia dal figlio V., al quale è stata diagnosticata una sclerosi multipla, non dimostra, di per sè anche che la donna, allontanandosi dalla casa coniugale, si sia disinteressata della condiziona dal figlio e lo abbia lasciato senza soccorso e senza assistenza, contravvenendo così ai suoi inderogabili doveri di genitore.

In definitiva, la censura dal ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione si risolvono nella non consentita prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio acquisito, del quale si sostiene la idoneità a dimostrare la responsabilità della P. nel fallimento dell'unione coniugale.

2.2. - D'altra parte, in punto di diritto la decisione della Corte d'Appello è corretta.

Difatti, l'allontanamento dalla residenza familiare - che, ove attuato unilateralmente dal coniuga, e cioè senza il consenso dell'altro coniuga, a confermato dal rifiuto di tornarvi, di per sè costituisce violazione di un obbligo matrimoniale (è conseguentemente causa di addebitamento della separazione), in quanto porta all'impossibilità della coabitazione - non concreta tale violazione allorchè risulti legittimato da una "giusta causa", vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto (ma anche di avvenimenti o comportamenti altrui) di per sè incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 agosto 1996, n. 7920; Cass., Sez. 1^, 29 ottobre 1997, n. 10648; Sez. 1^, 11 agosto 2000, n. 10682). E nella specie tale giusta causa è stata ravvisata nella situazione, accettata dal marito, di frequenti litigi domestici della moglie con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti sessuali, tra gli stessi coniugi.

Accertato che la frattura era precedente all'allontanamento dalla casa coniugale, della quale pertanto non poteva essere stato causa, correttamente la Corte Territoriale ha escluso l'addebitatilità della separazione alla P..

Inoltre, siccome ai fini dell'addebitabilità della separazione giudiziale deve sussistere un effettivo nesso causale tra i comportamenti costituenti violazione dei doveri coniugali accertati a carico di uno o di entrambi i coniugi e il fallimento della convivenza coniugale, restando irrilevanti i comportamenti successivi al verificarsi di tale situazione (v., tra le tante, Cass. 28 settembre 2001, n. 12130), la decisione della Corte d'Appello - che, avendo argomentatamente ritenuto non raggiunta la prova dell'adulterio in epoca anteriore al sorgere della situazione di intollerabilità della convivenza, ha escluso che la rottura della convivenza potesse essere riferita alla responsabilità della moglie - si sottrae alla prospettata censura di violazione di legge.

3. - Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 155 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente lamenta che l'affidamento esclusivo alla madre non risponda alle esigenze della minore.

La sentenza impugnata non avrebbe motivato in alcun modo perchè si è passati da un affidamento congiunto a quello esclusivo. Inoltre, il fatto che la figlia sia domiciliata presso la madre non avrebbe alcuna rilevanza ai fini dell'affidamento congiunto o esclusivo.

Infine, la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la relazione del servizio sociale, ed in particolare la circostanza che la madre - che rifiuta di ricorrere all'aiuto del M., il quale si è dichiarato disponibile - ha difficoltà ad organizzare gli spostamenti tra casa e scuola e viceversa, e che per questo la bambina si trattiene a scuola oltre l'orario. In questa situazione, e la nonna materna ad occuparsi di Veronica, la quale tuttavia - sempre secondo la relazione del servizio sociale - non avrebbe buone capacità di sostenere la crescita di V., poichè, con il suo atteggiamento denigratorio, tende a sminuire la figura paterna, laddove il rapporto di V. con il fratello è buono, giacchè lui si interessa al suo profitto scolastico e a volte l'aiuta a fare i compiti.

4. - Il motivo è inammissibile.

4.1. - E' noto che in materia di affidamento dei figli minori il Giudice della separazione deve attenersi al criterio fondamentale,stabilito dall'art. 155 cod. civ., dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo - nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante - i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche. In tale prospettiva, la valutazione del Giudice di merito deve essere ispirata all'unico criterio guida rivolto all'individuazione delle migliori condizioni di crescita concretamente possibili per il minore nella situazione data (Cass., Sez. 1^, 16 luglio 1992, n. 8667; Cass., Sez. 1^, 19 aprile 2002, n. 5714).

E' noto altresì che la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6 (come sostituto dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), nel comma 2, dispone che il Tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa, e, ove lo ritenga utile nell'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può disporne l'affidamento congiunto o alternato.

Quest'ultima norma, pur essendo dettata in seno alla disciplina del divorzio, quale risulta dopo la riforma recata dalla L. n. 74 del 1987, è suscettibile di essere estesa in via analogica allaseparazione (cfr. Cass., Sez. 1^, 4 maggio 1991, n. 4936): anche nel caso della separazione, pertanto, l'affidamento del figlio può avvenire secondo il modello della congiuntività (o dell'alternanza).

Ma lo stesso tenore testuale della norma pone in luce che disporre l'affidamento congiunto (o alternato), anzichè quello esclusivo, è questione rimessa alla valutazione discrezionale del Giudice di merito, il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l'interesse dei minori medesimi e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.

Nel caso in esame la Corte Territoriale, nello stabilire - in riforma della sentenza di primo grado, che aveva disposto l'affidamento congiunto, ma con domiciliazione presso la madre - l'affidamento esclusivo, ha considerato, nella situazione di forte conflittualità tra i coniugi: (a) che la madre, con la quale la figlia V. conviveva sin dall'epoca dai provvedimenti presidenziali, risalenti al maggio 1997, aveva provveduto adeguatamente alle esigenze materiali e morali della minore, e che questa situazione era sicuramente confacente allo sviluppo della sua personalità; (b) che le modalità di frequentazione come determinate dal Giudice di primo grado consentivano di valorizzare in modo adeguato la figura paterna.

La Corte d'Appello ha altresì escluso che dalla relazione del servizio sociale emergessero indicazioni ostative al riguardo, in essa evidenziandosi soltanto difficoltà di ordine pratico per gli spostamenti di V. tra la nuova casa e la scuola, suscettibili comunque di essere superate con una maggiore disponibilità alla collaborazione, su tale punto, tra i genitori.

Avendo la Corte Territoriale tenuto presenti, come parametro di riferimento, proprio gli interessi dalla minore, la valutazione riferita al caso concreto da essa compiuta, essendo sorretta da congrua motivazione immune da vizi logici, non e censurabile in questa seda, i profili prospettati dal ricorrente non ponendo in luce carenze di motivazione idonee a legittimare il sindacato di legittimità, ma risolvendosi in un difforme apprezzamento dai fatti rispetto a quello contenuto nella sentenza impugnata (cfr., in fattispecie analoga, Cass., Sez. 1^, 4 novembre 1997, n. 10791).

5. - Con il terzo motivo (violazione a falsa applicazione, sotto un ulteriore profilo, degli artt. 147 a 155 cod. civ.; omessa, insufficiente a contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la Corte d'Appello abbia accolto la domanda della P. di un contributo al mantenimento dalla figlia a carico del genitore non affidatario: sia perchè in realtà la differenza reddituale tra i coniugi non sarebbe così marcata come ritenuto dalla Corte Territoriale; sia perchè il M. si sobbarca alle ingenti spese sanitarie necessaria per la cura dal figlio V. (preferendo che questi non debba attingere al suo peculio per le necessità di salute); sia perchè, a seguito della morte della madre, esso, sotto sfratto esecutivo, si trova ora a sostenere le spese di affitto dell'appartamento ove vive con il figlio, mentre la moglie non ha alcun onera al riguardo.

6. - Il motivo è inammissibile.

6.1. - In seguito alla separazione personale dai coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza, atteso che i diritti ai doveri dei genitori verso i figli, salve la implicazioni dai provvedimenti relativi all'affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione, rimanendoidentico l'obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuirà, in proporziona alla sua capacita, all'assistenza ed al mantenimento dei figli (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 novembre 2004, n. 21087; Cass., Sez. 1^, 22 marzo 2005, n. 6197).

La Corte d'Appello, nello stabilirà il contributo di mantenimento a carico del coniuge non affidatario e nel determinarne la misura, ha fatto leva sulla capacità reddituale del M., superiore a quella della P., e sul fatto che quest'ultima, in relaziona ai suoi redditi a alla sua capacità economiche, si trova nell'impossibilità di far fronte alla sempre crescenti necessità della figlia; e ha considerato anche la circostanza della malattia del figlio Vittorio, maggiorenne ed economicamente autosufficiente, e delle spese sostenute dal padre per curarlo, affermando che la sicura disparità reddituale tra le parti, emergente dalla documentazione fiscale prodotta, sussiste anche tenendo conto del fatto che talispese sanitarie "sono in parte a carico del padre", che con lui convive.

Oltre che condotto secondo corretti criteri giuridici, l'iter argomentativo espresso dal Giudice di merito - che ha preso in considerazione sia le risorse economiche della famiglia e il reddito dei genitori, sia le molteplici esigenze della figlia, certamente non riconducibili al solo aspetto alimentare, ma inevitabilmente estese a quello abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale - è del tutto privo di mende logiche e sorretto da stringente e esaustiva motivazione. Esso sfugge, pertanto, alle censure del M., che pretende di sottoporre al sindacato di questa Corte la salutazione delle prove istituzionalmente riservata al Giudice del merito, sollecitando un diverso giudizio di fatto precluso a questa Corte di legittimità. 7. - Con il quarto motivo, il ricorrente censura la statuizione di condanna al pagamento della metà delle spese del doppio grado,lamentando che la Corte d'Appello abbia compensato solo nella misura della metà le spese di lite. La sentenza impugnata non avrebbe considerato che il M. si sarebbe limitato, sia in primo che in secondo grado, a difendersi dalle accuse della moglie, che aveva chiesto che la separazione fosse ad esso addebitata.

8. Il motivo è inammissibile, posto che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, neanche per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre, qualora ricorra soccombenza reciproca, è rimesso all'apprezzamento del Giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass., Sez. 1^, 23 giugno 2000, n. 8532; Cass., Sez. 3^, 3 marzo 1994, n. 2124).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali di questa fase, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 novembre 2005.

Depositata in Cancelleria il 20 GEN 2006

Contatta lo Studio

Inviaci la tua richiesta, ti risponderemo entro 48 ore.

Per utilizzare questo modulo è necessario abilitare JavaScript. In alternativa, puoi chiamarci ai numeri di telefono indicati nel sito.
Per favore verifica che le informazioni inserite siano corrette

Questo sito è protetto con reCAPTCHA, per il quale si applicano le norme sulla privacy e i termini di servizio di Google.

Questo sito utilizza cookie anche di terze parti per migliorare l’esperienza di navigazione e per finalità statistiche. Continuando acconsenti al loro utilizzo.