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Corte di Cassazione: Sentenza n.20649 del 1 giugno 2010

Secondo la Cassazione, quando il furto degenera in rapina perchè uno dei complici usa violenza o minaccia, anche gli altri complici rispondono per rapina (sentenza 1 giugno 2010, n. 20649)

Fatto

 

§1. Con sentenza del 15/01/2009, la Corte di Appello di L’Aquila confermava la sentenza pronunciata in data 22/11/2006 dal Tribunale di Chieti nella parte in cui aveva ritenuto V. Dan responsabile dei delitti di furto aggravato e concorso in rapina impropria, ex art. 116 c.p.

 

§2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

 

1. VIOLAZIONE DELL’ART. 530 C.P.P. per avere la Corte territoriale ritenuto il ricorrente responsabile del delitto furto pur in mancanza di qualsiasi elemento probatorio concludente ed univoco. Infatti, tutti gli indizi evidenziati dalla Corte non presentavano i requisiti di cui all’art. 192 c.p.p.

 

2. CONTRADDITTORIETÀ ED ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto la responsabilità di esso ricorrente anche per la rapina impropria commessa da altro imputato (tale T.). Invero la Corte territoriale non aveva considerato che esso ricorrente non poteva essere chiamato a rispondere di un fatto al quale era rimasto completamente estraneo anche perché ignorava che il T. avesse intenzione di rubare della merce nel supermercato. La Corte, invece, aveva fondato la sua conclusione su una arbitraria ricostruzione dei fatti senza riscontri concreti ed in totale assenza di elementi forniti di spessore probatorio.

 

3. VIOLAZIONE DELL’ART. 628 C.P. avendo la Corte territoriale ritenuto, erroneamente, che, nel fatto contestato fosse ravvisabile una rapina impropria consumata e non semplicemente tentata.

 

 

 

Diritto

 

 

 

§3. VIOLAZIONE DELL’ART. 530 C.P.P.: l’imputato è stato ritenuto responsabile del delitto di furto aggravato in concorso con altre persone ai danni negozio Decathlon. La Corte territoriale è giunta alla suddetta conclusione sulla base della seguente motivazione: «Il V. è stato rinvenuto a bordo dell’auto, all’interno del cui portabagagli sono stati ritrovati, alla rinfusa, vari indumenti (quelli descritti nel capo d’imputazione) accertati come poco prima sottratti dal negozio Decathlon, tanto che essi avevano ancora attaccata l’etichetta del prezzo, ma erano privi delle placche antitaccheggio. Nelle tasche dei pantaloni del V., come di tutti gli altri coimputati, venne rinvenuta una tronchesina dello stesso modello e marca, strumento chiaramente utilizzabile per la rimozione delle placche antitaccheggio. Ora, se si considerano, in concatenazione logica, tutti gli elementi probatori appena citati e si considera, altresì, che, per come si ricava dal contenuto della denuncia operata dal direttore del negozio Decathlon (cfr. denuncia sporta da Silvestri Marco), la sottrazione di oggetti dal suo negozio avvenne poco prima, ma nello stesso giorno nel quale, poi, l’auto Fiat Marea, con il V. ed il Sutic a bordo, venne rinvenuta dinanzi al centro commerciale Unieuro, tanto da essere sottoposta a perquisizione unitamente agli imputati, se ne deduce, sul piano logico e probatorio, in assenza di specifiche e rigorose prove in contrario fornite, in ipotesi, dall’imputato, che anch’egli sia stato sicuramente compartecipe del furto pluriaggravato condotto ai danni del negozio Decathlon, apparendo le professioni di innocenza chiaramente smentite proprio dall’evidenza dei dati probatori prima ricordati. D’altra parte, dato il numero oggettivo dei capi di abbigliamento sottratti, risulta del tutto logico che alla sottrazione degli stessi, previa rimozione delle placche antitaccheggio, abbiano partecipato più soggetti, tutti armati di apposita tronchesina».

 

§3.1. In questa sede, il ricorrente sostiene che non vi sarebbe alcuna prova a suo carico perché:

 

- nulla era stato rinvenuto sulla sua persona di cosa che lasciasse anche solo minimamente ritenere la sua responsabilità penale;

 

- i capi di abbigliamento erano privi delle placche antitaccheggio;

 

- il comportamento tenuto, in occasione del controllo eseguito dai CC era stato spontaneo e tranquillo il che denotava la sua buona fede ossia che era ignaro della condotta criminosa tenuta dal suo amico.

 

§3.2. In realtà, si deve replicare che le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

 

Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile. In altri termini, le censure devono ritenersi infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

 

Sul punto va, infatti, ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.

 

D’altra parte, il prevenuto, ricorrendo alla ben nota tecnica retorica della parcellizzazione dei vari argomenti, non fa altro che atomizzare la motivazione per meglio confutarla. Si tratta, però, di tecnica che questa Corte ha reiteratamente stigmatizzato perché la motivazione è costituita da una serie di argomenti che s’integrano a vicenda sicché va censurata nel suo insieme (tenendo conto di tutta ratio decidendi) e non isolando i vari indizi per criticarli avulsi dal contesto in cui sono stati inseriti.

 

§4. CONTRADDITTORIETÀ ED ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE in ordine al concorso nella rapina impropria commessa da T..

 

§4.1. Il fatto è stato ricostruito dalla Corte territoriale nei seguenti termini: nel mentre i CC stavano effettuando il controllo dell’imputato e di tali Sutic e Mancut, «veniva chiesto aiuto da parte del direttore del Centro Unieuro, identificato per Montesano Giampietro, il quale riferiva che, poco prima, nel mentre si trovava nel negozio nei pressi della cassa n. 3, aveva notato un giovane straniero che, nervosamente, stava tentando di attraversare la barriera antitaccheggio a passo veloce, tanto che, nel fare ciò, si era azionato il sistema acustico di allarme e la cassiera lo aveva invitato a fermarsi per un controllo; sempre il direttore riferiva ancora che, invece, il giovane si era dato alla fuga e che egli era riuscito a bloccarlo, ragion per cui il ragazzo, al fine di sottrarsi alla presa, aveva iniziato a divincolarsi strattonando esso Montesano e colpendolo, con gomitate, all’addome ed al petto e, quindi, liberandosi e facendo cadere a terra il medesimo direttore, il quale, peraltro, rialzatosi, era riuscito nuovamente a bloccare il fuggitivo. Il giovane, identificato per T. Valeriu, perquisito veniva trovato in possesso di una scatola contenente un lettore MP3 marca Samsung precedentemente asportato dal Centro Unieuro, oltre che di una tronchesina dello stesso modello e marca di quelle rinvenute agli altri ragazzi [...]».

 

§4.2. Sulla base di tale fatto, la Corte riteneva la responsabilità dell’imputato anche per il delitto di rapina impropria commesso dal T. con la seguente motivazione: «quanto, poi, al contestato concorso anomalo nel reato di rapina impropria materialmente commesso dal coimputato T., si osserva, in primo luogo, che nessun dubbio, per quanto sopra esposto circa il contenuto dei fatti accaduti all’interno del Centro Unieuro, quali descritti dal Montesano nell’immediatezza ai CC ed in denuncia, può sussistere circa la qualificazione giuridica in termini di rapina impropria della condotta criminosa assunta, nell’occasione, dal T., così come, per quanto sopra chiarito, non sussistono dubbi sul fatto che anche il T. facesse parte del gruppo di quattro amici (tra i quali il V.) che, a bordo della Fiat Marea, era giunto davanti al Centro Commerciale Unieuro nella mattina del fatto. Ora, se si considera la estrema vicinanza temporale e di luoghi tra l’episodio di furto consumato in danno del negozio Decathlon ed il fatto criminoso avvenuto presso il Centro Unieuro, così come se si considera che il V., unitamente al Sutic, si trovava in auto in attesa degli altri due amici, uno dei quali era proprio il T. e l’altro il Mancut Ciprian (quest’ultimo apparso agli operanti nervoso all’uscita dal Centro Unieuro e, subito dopo, rinvenuto, con addosso, tre pantaloni di tute ginniche risultate asportate presso il negozio Decathlon e recanti ancora l’etichetta del prezzo ed il codice a barre del predetto negozio) e se si considera, ancora, il fatto che tutti gli imputati avevano con sé una tronchesina dello stesso modello e marca e che, di fatto, il T. è risultato aver sottratto, comunque, dal Centro Unieuro, un lettore MP3 Samsung, non può non reputarsi, a rigore di logica, che anche la condotta di sottrazione di oggetti da perpetrare in tale ultimo Centro materialmente da parte del T. e verisimilmente anche da parte del Mancut (visto dagli operanti uscire dallo stesso luogo e comportarsi in maniera strana e sospetta, nel medesimo contesto) fosse stata attuata in pieno accordo con gli altri due correi, tra i quali il V., essendo, evidentemente, questi ultimi pronti, in auto, a partire non appena il o i complici fossero tornati, possibilmente con qualcosa di rubato. In tale contesto di ritenuta consapevolezza, poi, si è inserita la condotta del T., qualificata come rapina impropria. Ora, premesso che, per la sussistenza del concorso anomalo previsto dall’art. 116 c.p. sono necessari, oltre all’adesione psichica dell’agente ad un reato concorsuale meno grave (nella specie il furto) ed alla commissione, da parte di altro compartecipe, di un reato diverso e più grave (nella specie la rapina impropria), anche un nesso psicologico in termini di prevedibilità tra la condotta dell’agente compartecipe e l’evento diverso e più grave in concreto verificatosi e premesso, altresì, che, ai fini di tale terzo requisito, non è sufficiente un rapporto di causalità materiale tra la condotta dell’agente e l’evento più grave,

 

ma è necessario che sussista un rapporto di causalità psichica, nel senso che il reato diverso e più grave commesso dal compartecipe possa astrattamente rappresentarsi alla psiche dell’agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, il tutto senza, peraltro, che l’agente debba avere effettivamente previsto ed accettato il rischio della sua commissione (dato che, in tale ultimo caso, sarebbe configurabile il concorso pieno nel reato, ex art. 110 c.p. - cfr. Cass. pen. sez. I, 18-5-1994, Biliardo; Cass. pen. sez. I, 4-6-1984, Barbagallo; Cass. pen. sez. V, 17-12-1991, Vizzini; Cass. pen. sez. I, 20-12-1996, Saglisi; Cass. pen. sez. I, 16-5-2003, Pugliesi), deve aggiungersi che, sempre secondo la giurisprudenza, è stato ritenuto come prevedibile sviluppo dell’azione inerente ad un furto l’eventuale uso di violenza o minaccia che, se realizzato, fa progredire, appunto, la sottrazione della cosa mobile altrui in rapina impropria ascrivibile al compartecipe a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 c.p. (cfr. Cass. pen. sez. II, 30-10-1990, Pizzalu). Una volta accertata e ritenuta, come nel caso di specie, la consapevolezza, nel V., della partecipazione ad un’attività di furto da commettersi, da parte del T. e verisimilmente del Mancut, all’interno del Centro Unieuro [...] deve concludersi che l’avvenuta “degenerazione” del furto in rapina impropria rientrava sicuramente tra gli eventi astrattamente prevedibili nella mente del compartecipe, attuale imputato».

 

§4.3. In questa sede, il ricorrente contesta la suddetta motivazione sostenendo, sostanzialmente, che non vi sarebbe alcuna prova della sua compartecipazione al reato di furto e tantomeno che il medesimo potesse trasmodare in rapina impropria. Peraltro, la Corte territoriale non aveva considerato che la prevedibilità della verificazione dell’ulteriore evento andava verificata non in astratto ma in concreto sicché, anche sotto questo profilo non vi era alcun elemento che potesse avallare la conclusione della Corte.

 

§4.4. La doglianza è infondata.

 

Va premesso che la ricostruzione del fatto, nella sua materialità, è pacifica così come corretta deve ritenersi l’enunciazione dei principi di diritto in materia di concorso anomalo effettuata dalla Corte con puntuali richiami alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Tanto precisato, va osservato che la decisione alla quale è pervenuta la Corte di merito, non si presta ad alcuna delle generiche censure dedotte in questa sede dal ricorrente che, lungi dall’evidenziare incongruenze o illogicità o carenze motivazionali si è limitato a ribadire la sua tesi difensiva e cioè che non poteva immaginare che il proprio amico T. avesse intenzione non solo di rubare ma che fosse disposto anche a commettere una rapina.

 

Sennonché si deve replicare che la motivazione della Corte territoriale è logica congrua ed adeguata (anche in relazione alla valutazione in concreto: cfr il passo della motivazione supra riportato nel quale la Corte riepiloga tutti gli indizi che facevano ritenere che i quattro giovani erano perfettamente d’accordo nel rubare merce varia) perché ricompone in un quadro unitario tutta una serie di indizi che, valutati nel loro insieme, offrono un compendio probatorio che risponde ai criteri di valutazione di cui all’art. 192 c.p., essendo gravi (in quanto consistenti, cioè resistenti alle obiezioni e, quindi, attendibili e convincenti), precisi (perché non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile e, perciò, non equivoci) e concordanti (perché non contrastano tra loro e con altri dati o elementi certi).

 

Pertanto, la doglianza proposta in questa soffre dello stesso vizio di quella dedotta a proposito del furto (supra motivo sub 1) ossia si tratta di una doglianza di mero merito tendente ad una rivalutazione di quegli stessi elementi fattuali già ampiamente valutati dalla Corte con motivazione immune da ogni vizio di legittimità.

 

§5. VIOLAZIONE DELL’ART. 628 C.P.: stante la pacifica ed incontestata dinamica del fatto, non vi può essere alcun dubbio sulla qualificazione giuridica del medesimo come rapina impropria consumata e non tentata.

 

In diritto, quanto alla nozione di impossessamento, questa Corte ha reiteratamente chiarito che «l’impossessamento, quale momento consumativo del delitto di rapina, non esige affatto il requisito della definitività della sottrazione, ma si realizza appena l’agente abbia conseguito la disponibilità materiale della cosa sottratta, sia pure per breve intervallo di tempo e nello stesso luogo, senza possibilità per la vittima di recuperarne il possesso con il normale esercizio del potere di vigilanza e custodia, bensì soltanto tramite un’azione violenta personale o da parte di terzi»: ex plurimis Cass. 12268/1990 Rv. 185263 - Cass. 20031/2003 Rv. 225641 - Cass. 4136/1986 Rv. 175563.

 

Applicando il suddetto principio di diritto alla concreta fattispecie, deve allora concludersi che la decisione della Corte territoriale, di qualificare il fatto come rapina impropria consumata e non tentata, non si presta ad alcuna censura atteso che, nel momento in cui il T. fu fermato, si era già impossessato così della refurtiva.

 

§6. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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