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Lo Stato deve far rispettare il diritto di visita

Pubblicato in: Separazioni e divorzi

La Corte europea dei diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia perchè non ha disposto adeguate tutele del diritto di visita, riconoscendo al genitore non affidatario il risarcimento dei danni morali.

Secondo la Corte europea dei diritti dell'Uomo (sentenza del 2 novembre 2010), l'Italia si è resa inadempiente all'obbligo di rendere effettivo il diritto di visita del genitore non affidatario a fronte dell'atteggiamento ostativo dell'altro genitore.

La pronuncia della Corte riguarda un ricorso (n. 36168/09) presentato da un cittadino italiano contro lo Stato ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

In particolare il ricorrente lamentava la violazione dell'articolo 8[1] della Convenzione citata, che tutela il diritto al rispetto della vita familiare.

Egli, infatti, successivamente al divorzio, è stato costretto a chiedere continuamente l'intervento del Tribunale per i minorenni in quanto l'ex coniuge ostacolava il suo diritto di far visita al figlio minore, ogni quindici giorni.

Il Tribunale per i minorenni in linea di principio aveva dato ragione all'uomo, delegando ai servizi sociali il compito di assicurare le visite.

Nonostante il riconoscimento del diritto in linea di principio, il Tribunale non aveva in concreto stabilito le misure ed i mezzi necessari per assicurarne l'attuazione, limitandosi a prendere nota della situazione del bambino ed ordinando ai servizi sociali di proseguire il percorso terapeutico di quest'ultimo. Le autorità hanno così lasciato che si consolidasse una situazione di fatto in violazione delle decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere del tempo determinasse delle conseguenze sempre più gravi per il ricorrente, privato dei contatti con suo figlio.

In proposito, la Corte europea ha evidenziato che l'adeguatezza di una misura deve essere giudicata anche in base alla rapidità della sua attuazione e che eventuali ritardi non possono essere giustificati, in quanto spetta a ciascuno Stato organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da garantirne l'efficacia.

La Corte ha quindi ritenuto che i provvedimenti adottati dall'autorità italiana fossero del tutto inadeguati rispetto all'obiettivo da perseguire (effettività del diritto di visita).

In particolare il giudice italiano avrebbe adottato "misure automatiche e stereotipate senza adattarle al caso specifico, e che di fatto non hanno assicurato all'uomo di poter effettivamente godere del suo diritto a vedere il figlio".

Ciò si pone in contrasto con l'articolo 8 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che tutela appunto il diritto all'unità familiare.

Da ciò è conseguita la condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni morali € 15.000 in favore del ricorrente, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, secondo cui: "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa".

Note

  1. ^Articolo 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare.
    1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

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