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Cittadinanza italiana per via materna ante 1948: come ottenerla

Pubblicato in: Immigrazione

I discendenti di donna italiana nati prima del 1948 possono ottenere la cittadinanza tramite Tribunale

Cittadinanza per linea materna: perchè è esclusa in via amministrativa

E' noto che i discendenti di un antenato italiano hanno diritto ad essere riconosciuti italiani, senza limiti generazionali.

Il problema si pone se nell'albero genealogico vi è una donna il cui figlio è nato prima del 1 gennaio 1948 (data di entrata in vigore della Costituzione); oppure se l'antenata aveva contratto matrimonio con uno straniero.

Prima della Costituzione, infatti, solamente il padre trasmetteva la cittadinanza ai figli in base alla Legge n. 555/1912. Non vi è invece una norma che esplicitamente riconosca la cittadinanza ai discendenti di donna italiana.

Oltre a questo, la Legge n. 555/1912 prevedeva anche che la donna perdeva la cittadinanza italiana in caso di matrimonio con uno straniero, per cui anche in tal caso si verificava una interruzione nella trasmissione della cittadinanza.

Per tale ragione, nei casi suddetti, i Consolati e i Comuni non possono riconoscere la cittadinanza in via amministrativa.

Cittadinanza per linea materna in via giudiziale

Nonostante la risposta negativa dei Consolati e dei Comuni, è comunque possibile ottenere la cittadinanza per via materna in via giudiziale.

Questo è possibile grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30/1983, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 1, n. 1, della legge n. 555 /1912, nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina.

La Corte Costituzionale è intervenuta anche nel caso di matrimonio tra una donna italiana e uno straniero, con la sentenza n. 87/1975, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, comma terzo, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Disposizioni sulla cittadinanza italiana), nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna che si sposava con cittadino straniero.

La Corte ha ritenuto che la norma violava palesemente anche l'art. 29 della Costituzione in quanto comminava una gravissima disuguaglianza morale, giuridica e politica dei coniugi e poneva la donna in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto del matrimonio, dei diritti del cittadino italiano.

Infatti, “la titolarità della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria,indipendentemente dalla dichiarazione resa dall'interessata ai sensi della L. n. 151del 1975, art. 219, alla donna che l'ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volontà della titolare della cittadinanza è effetto perdurante, dopo la data indicata, della norma incostituzionale, effetto che contrasta con il principio della parità dei sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.).

Per lo stesso principio, riacquista la cittadinanza italiana dal 1 gennaio 1948, anche il figlio di donna, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 555 del 1912, determinando il rapporto di filiazione, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione a lui dello stato di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto senza la legge discriminatoria” (Cass. SSUU Sentenza n. 4466 del 2009).

Anche sul piano logico, la cessazione degli effetti della legge illegittima perché discriminatoria, non può non incidere immediatamente e in via "automatica" sulle situazioni pendenti o ancora giustiziabili, come il diritto alla cittadinanza, potendo in ogni tempo, dalla data in cui la legge è divenuta inapplicabile, essere riconosciuto l'imprescrittibile diritto alla mancata perdita o all'acquisto dello stato di cittadino degli ascendenti della ricorrente e quindi il diritto di questa alla dichiarazione del proprio stato, come figlia di madre cittadina per la filiazione da donna che, dal 1 gennaio 1948, deve ritenersi cittadina italiana.

Gli effetti prodotti da una legge ingiusta e discriminante nei rapporti di filiazione e coniugio e sullo stato di cittadinanza, che perdurino nel tempo, non possono che venire meno, anche in caso di morte di taluno degli ascendenti, con la cessazione di efficacia di tale legge, che decorre, dal 1 gennaio 1948, data dalla quale lacittadinanza deve ritenersi automaticamente recuperata per coloro che l'hanno perduta o non l'hanno acquistata a causa di una norma ingiusta, ove non vi sia stata una espressa rinuncia degli aventi diritto.

Le norme precostituzionali riconosciute illegittime per effetto di sentenze del giudice della legge, sono inapplicabili e non hanno più effetto dal 1 gennaio 1948 sui rapporti su cui ancora incidono, se permanga, la discriminazione delle persone per il loro sesso o la preminenza del marito nei rapporti familiari, sempre che vi sia una persona sulla quale determinano ancora conseguenze ingiuste, ma giustiziabili, cioè tutelabili in sede giurisdizionale.

Come fare

In pratica, per ottenere la cittadinanza per via materna ante 1948, bisogna presentare ricorso al Tribunale italiano.

Il Tribunale competente è quello del luogo di nascita dell'antenato/a (se gli istanti risiedono all'estero); o altrimenti il Tribunale del luogo di residenza (se gli istanti risiedono in Italia).

E' necessaria l'assistenza di un avvocato italiano, mentre non è necessario venire in Italia. La pratica viene gestita integralmente dal legale tramite una procura speciale.

I documenti da presentare sono gli stessi richiesti per la domanda di cittadinanza in via amministrativa.

Il Giudice, una volta accertata la discendenza da donna italiana, dichiarerà che gli istanti sono cittadini italiani (i tempi dipendono dal Tribunale; mediamente un anno).

La sentenza verrà trasmessa al Comune che provvederà alla trascrizione nei registri civili.

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